Neive - La prima grappa la distillò nel 1945, ad appena 17 anni: la fama arrivò a partire dal 1971, quando Luigi Veronelli lo scoprì, consacrandolo con un articolo su “Epoca” intitolato “L’aristocrazia delle acqueviti”. Avrebbe compiuto 80 anni il prossimo 24 novembre, ma si è spento nella notte fra giovedì e venerdì scorsi: Romano Levi era andato a trovare l’amata sorella Lidia presso la casa di riposo di Neive, quando è stato stroncato da un infarto.
Personaggio schivo e riservato, silenzioso piccolo grande uomo, poeta delicato, artista naif, nella sua disarmante semplicità, artigiano capace, langarolo doc: molte anime convivevano nel “grappaiolo angelico”, uomo concreto, ma capace di volare alto, come i suoi angeli con un’ala sola, che possono solcare il cielo ma devono rimanere abbracciati.
La grappa la produceva con il metodo “antico”, con il fuoco diretto sotto la caldaia in rame, in cui stavano vinacce (dolcetto, barbera, nebbiolo) ed acqua; di fianco gli alambicchi. Poi le bottiglie, ciascuna un’opera d’arte, autentici capolavori, col tappo in sughero, che non spingeva fino in fondo, e le etichette, vergate a mano, disegnate con inchiostro di china e matite colorate.
Aveva imparato a farla da solo, ereditando gli alambicchi del padre, quando morì sua madre, al termine della guerra: «Ho semplicemente accontentato il destino», aveva confidato a Luigi Sugliano, autore due anni fa di un bel volume (con le fotografie di Bruno Murialdo).
Quasi si sprecano gli aneddoti sulle sue bottiglie: da quelle consegnate agli uomini della scorta di Siniscalco, con l’ex ministro rimasto a secco, a quella del moscerino che è volato via, alle sue celeberrime donne selvatiche che scavalicano le colline.
La chiesa di San Giuseppe di Borgo Nuovo gremita per i funerali, sabato scorso, per l’ultimo saluto all’uomo: la sua arte e la sua grappa, invece, vivranno per sempre.
da: grandain.com
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