martedì 6 maggio 2008

L'arte del gusto si impara mangiando i prodotti locali

Lo conoscono tutti ma in pochi saprebbero distinguere una etichetta dall'altra. Eppure il Marsala è il vino liquoroso più diffuso in Italia, che ha scontato una notorietà legata forse a troppi stereotipi e luoghi comuni e poco alla sue potenzialità. Perché il Marsala non è soltanto il vino classico della «meditazione», ideale da bere davanti ad un caminetto acceso oppure per scaldare l'ambiente in una serata conviviale. È una miscela di sapori e odori esplosiva ricavata da uve a bacca bianca (che a seconda delle varie aggiunte conferiscono al liquore le tonalità dell'oro, dell'ambra e del rubino), poi lasciato invecchiare alcuni anni in botti di rovere. Il Marsala diventa «i Marsala» nel momento in cui il suo eclettismo e la sua versatilità lo trasformano, a seconda delle occasioni, in vino da accompagnamento di cibi a tavola, «semplice» aperitivo o liquore da dessert.
Ideale con i sapori forti: abbinato a formaggi come gorgonzola, caciocavallo ragusano, parmigiano reggiano, è capace di sprigionare la sua essenza, ma anche con zuppe di crostacei, la qualità Marsala Vergine in questo senso eccelle, con pesce affumicato o bottarga di tonno, con selvaggina o filetto, intensamente speziati e aromatici. E per finire con i dolci più «dolci»: tra tutti le profumate insalate di fragole o fragoline, di pesca bianca, di melone cantalupo di Paceco, solo però se il marsala è Superiore Dolce. In poche parole il Marsala sta bene insieme ai formaggi, alla carne, al pesce mentre da chi lo consuma abitualmente, stando alle ultime ricerche, viene preferito (e non sempre a ragione) come fine pasto al momento del dolce.
Fa parte di quei luoghi comuni, o sarebbe meglio dire abitudini consolidate, che ne hanno fatto conoscere fino ad oggi poco le sue caratteristiche. In genere chi beve Marsala dice di apprezzarne soprattutto il profumo che ricorda la terra da cui ha origine, la Sicilia; solo una minima parte, però, saprebbe distinguere un Marsala da un altro e narrare la sua storia. Che è quella di un vino scoperto per caso (come del resto il più delle volte accade per le «grandi» scoperte).
Inventore ne fu il commerciante inglese John Woodhouse che veleggiava nel 1773 attraverso il Canale di Sicilia alla ricerca di particolari ceneri per la sua fabbrica di saponi a Liverpool. Una tempesta lo costrinse ad attraccare a Marsala. In cerca di un'osteria per far ristorare il suo equipaggio, fu subito conquistato dal gusto deciso del vino di quelle terre che era fatto invecchiare in grandi botti di legno. Il fiuto per i grandi affari portò Woodhouse a caricare sul suo brigantino Elizabeth, diretto in Inghilterra, un campione del vino di Marsala (o Sicilian Sherry) e per proteggerlo dagli sbalzi di temperatura e dall'umidità del lungo viaggio, vi aggiunse acquavite da vino: nacque così il Marsala che conosciamo oggi.
Da necessità, dunque, la virtù del vino liquoroso destinato poi, attraverso gli inglesi, a diventare famoso in tutto il mondo. Oggi il Marsala punta a creare straordinarie occasioni di incontro con il consumatore e a riscattarsi dal confinamento a stereotipati luoghi comuni.
Il Consorzio Volontario del Vino Marsala D.O.C. (che dal 1963 associa la quasi totalità delle aziende produttrici ed è il solo a poter legittimamente rappresentare la d.o.c. Marsala), ha scelto di pianificare una campagna di comunicazione su uno dei prodotti più affascinanti e versatili della Sicilia facendo del Vinitaly la prima, importante tappa di questo progetto per un ritorno in grande stile. Mentre i segreti del Marsala doc vengono svelati direttamente dai produttori. Il territorio della città siciliana, maggior centro di produzione vinicola della provincia, sta vivendo un boom dell'enoturismo legato al suo prezioso nettare: la maggior parte delle cantine consorziate provvede all'ospitalità degli amanti del vino ai quali ne spiega metodo di produzione, storia e cultura. Disseminati nelle campagne, a grande distanza dai centri abitati, sono ancora visibili i «bagli», alcuni magistralmente restaurati e sedi all'avanguardia per i tradizionali metodi di produzione del vino: luoghi fortificati, simbolo del latifondo produttivo, i bagli hanno assicurato lo svolgimento del lavoro nei campi al riparo da ogni disturbo esterno fin dal XVII secolo. Oggi rappresentano un raro esempio di archeologia naturale di gran valore.
da: iltempo.it

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