lunedì 14 maggio 2007

ETICHETTATURA DELLA GRAPPA di Filippo Giovannelli©

L’etichettatura della Grappa e delle Acquaviti d’uva è regolamentata da due norme che sono poi di riferimento a tutta la produzione dei distillati italiani provenienti dall’uva.

Regolamento CEE 1576/89
DPR 297/97

Come primo approccio alla ricerca delle denominazioni dei prodotti, che di conseguenza vengono poi inseriti in etichetta sulle bottiglie, si fa riferimento alle grappe a denominazione geografica di cui al punto 6 dell’allegato II del regolamento (CEE) n. 1576/89 e che sono le seguenti:
Grappa di Barolo
Grappa piemontese o del Piemonte
Grappa lombarda o della Lombardia
Grappa trentina o del Trentino
Grappa friulano o del Friuli
Grappa veneta o del Veneto
Südtiroler Grappa/Grappa dell’Alto Adige.

Il regolamento CEE ormai vecchio di più di 15 anni ha riconosciuto solamente a questi territori la possibilità di avere la denominazione geografica. Ma non disperiamo..
Il Regolamento recante norme in materia di produzione e commercializzazione di acquaviti, grappa, brandy italiano e liquori. DPR 16 luglio 1997, n. 297 al Capo VI - Disposizioni comuni Art. 18. – Etichettatura; cita che la grappa e le acquaviti d’uva possono riportare nella denominazione di vendita il nome di un vitigno, ma con il riferimento a non più di due vitigni, il riferimento al nome di un vino DOC, DOCG e IGT, fino a fare riferimento al tipo d’alambicco.
La legge dà quindi la possibilità di indicare in etichetta il nome del vino DOC- DOCG-IGT- IGP di provenienza delle vinacce, (Esempio: di Chianti), al punto 5 dell'art.18, dà anche la possibilità di indicare riferimenti di zone geografiche (Esempio: del Chianti).
Pertanto le grappe si possono distinguere in:
a) grappe a denominazione geografica, di cui all'allegato II del regolamento (CEE) n. 1576/89;
b) grappe ottenute da materie prime provenienti dalla produzione di vini DOCG, DOC e IGT;
c) grappe a indicazione geografica;
d) grappe di monovitigno.

Le grappe a denominazione geografica sono ottenute nelle zone geografiche indicate nell'etichettatura. Salvo che per le operazioni d’imbottigliamento, che possono essere effettuate ovunque, tutte le altre operazioni devono essere effettuate nella zona di origine e le materie prime devono essere ottenute da uve prodotte e vinificate nella stessa zona.
La mancanza di uno di detti requisiti fa venire meno il diritto all'uso della denominazione geografica, ma non quella di grappa in quanto tale, senza nessuna specifica in etichetta che faccia riferimento a zone di produzione o a vitigni di provenienza.
Per quanto riguarda le grappe ad indicazione geografica si osserva che, nel rispetto del principio codificato nell'allegato II del regolamento comunitario numero 1576/89 (denominazioni geografiche regionali), non sono consentite altre denominazioni con riferimento regionale, salvo i casi in cui la grappa sia ottenuta da materie prime provenienti da vini DOCG, DOC e IGT regionali, quali ad esempio “grappa di Brunello di Montalcino” oppure “grappa di Pomino” oppure "grappa Toscana".
Le denominazioni ad ogni modo possono essere indicate in etichetta anche diverse da quelle previste specificatamente dalla normativa europea e precedentemente descritte, purché tali da non creare confusione con quelle previste dal decreto “Italiano” e da non indurre in errore il consumatore.
In dettaglio quindi, nell’etichettatura della grappa e delle acquaviti si deve fare riferimento alla gerarchia normativa. Nelle regioni e nelle zone di produzione dove sono presenti denominazioni specifiche, si applicano per prime quelle di livello comunitario, poi quelle nazionali.
Per questo la normativa vigente da ogni livello permette la denominazione in etichetta in modo molto ampio. Anche per le regioni che non hanno visto riconosciuto nel 1989 a livello comunitario una denominazione specifica, esiste la possibilità legale di denominare con le zone di produzione il prodotto, che per il marketing ha un notevole riscontro di visibilità. Certo è che non esiste un disciplinare di produzione per queste zone, obiettivo che si dovrebbe perseguire come è stato fatto per altre produzioni nazionali.

lunedì 7 maggio 2007

Crown Royal XR: Il Whisky per la regina

Una bottiglia elegantissima, commissionata per l'occasione, incisioni in oro da 24 carati ed un contenuto davvero pregevole e molto raro. Crown Royal, in onore della visita al Kentucky Derby della regina Elisabetta II, ha realizzato un whisky davvero unico, il Crown Royal XR. Una riserva di "lusso", dal numero limitatissimo di bottiglie che conserva la tradizione di un whisky storicamente realizzato per le grandi occasioni. Il Crown Royal XR non sarà messo in vendita ma dei "rumors" suggeriscono una valutazione che si attesterebbe intorno ai 10,000 dollari a bottiglia, circa, 7.300 euro.

Tequila Pàtron, la tequila 100% agave azzurra più venduta nel mondo

Nel film "Nel centro del mirino" Clint Eastwood non sorseggia altro. Tequila Pàtron, la tequila 100% agave azzurra più venduta nel mondo. Semplicemente perfetta, così la definisce chi la produce. E non è certo un peccato di immodestia o di presunzione, visto i dati di vendita. Ora, dopo aver conquistato il mercato statunitense, la The Patron Spirtis Company punta all'Europa e all'Italia.
Tutte le fasi della produzione di questo distillato esclusivo, dalla raccolta dell’agave azzurra sulle alture dello stato messicano di Jalisco, al secolare processo di distillazione, all’etichettatura, numerazione e controllo delle singole bottiglie, vengono eseguite con una meticolosità e una cura che sono possibili soltanto attraverso un procedimento manuale.
Il sapore vellutato e le varietà di retrogusti che caratterizzano la tequila Patrón derivano dall’impiego delle migliori piante di agave azzurra, la più pregiata al mondo per l’elevata qualità della componente zuccherina, particolarmente diffusa nei terreni fertili di origine vulcanica presenti nei pendii di questa regione del Messico.
Le piante di agave, che richiedono otto anni per raggiungere il giusto grado di maturazione e il livello di zucchero necessario per la produzione della tequila Patrón, vengono coltivate nei campi da un personale qualificato – gli jimadors – e trasportate, dopo il raccolto, fino alla distilleria della Hacienda del Patrón situata nella cittadina di Atotonilco.
I cuori delle piante di agave, detti pinas, vengono messi all’interno di piccoli forni in muratura. Attraverso questo metodo tradizionale di cottura (un processo abbandonato dalle distillerie industriali di tequila) per 72 ore viene eseguita la lenta tostatura di piccole quantità di agave. Quando l’agave è estratta dai forni, viene fatta macerare mediante l’antica tecnica Tahona: una grossa ruota di pietra schiaccia e spreme la polpa di agave.
A questo punto, il succo estratto viene lasciato fermentare all’interno di barili in legno di pino. Segue una doppia distillazione in alambicchi di rame a ciclo discontinuo che consente di mantenere inalterati nel distillato gli aromi delicati del frutto da cui provengono.
Ogni bottiglia di vetro soffiato è lucidata con cura, decorata con eleganti nastri colorati, dotata di un tappo in sughero naturale e numerata a mano. Insomma, quasi un'opera d'arte. In Italia viene distribuita dalla D&C, azienda emiliana che da oltre 50 anni importa prodotti food e beverage di alta qualità.
da: baccoetabacco.org